L’indiscrezione, proveniente da fonti dell’intelligence italiana, ha avuto l’effetto di una iniezione di fiducia per decine di imprese: le elezioni in Libia dovrebbero tenersi davvero nei tre giorni fra il 20 e il 23 giugno, anziché essere posticipate di qualche mese come ventilato con insistenza negli ultimi tempi. Nelle riunioni del Consiglio nazionale di transizione (l’organismo che sta cercando di tenere unito il paese e di traghettarlo verso la democrazia) si sarebbe ormai affermata la linea della componente filoamericana, favorevole a votare al più presto, a scapito di quella legata alla Francia, che spinge da mesi per un rinvio a dopo l’estate.
La prima ragione che milita contro l’allungamento dei tempi è lo spettro di una frantumazione della Libia fra le due componenti storiche della Tripolitania e della Cirenaica, che si farebbe più consistente se la transizione andasse per le lunghe. Organizzare le votazioni da qui a un mese non sarà certo una passeggiata, ma ha il vantaggio di ridurre l’incertezza e ridare una prospettiva di sviluppo al paese. Anche dal punto di vista economico. Ed è proprio questo che incoraggia le nostre imprese a farsi avanti in vista di un processo di ricostruzione del paese che si annuncia davvero imponente.
Prima della caduta di Gheddafi l’Italia era il primo partner commerciale libico e aveva in cantiere una quantità di iniziative in settori strategici come i trasporti, le infrastrutture, l’edilizia. Poi, con la rivoluzione dell’anno scorso, questa posizione ha cominciato a essere seriamente insidiata da altri paesi: Francia, Usa, Inghilterra, ma anche Turchia, Cina, Brasile.
Per cercare di parare il colpo (e supplire alla minore intraprendenza del governo italiano rispetto a quelli di altri paesi) si è creata la Task force del Nordest per la ricostruzione della Libia, un consorzio privato di più di cento piccole e medie imprese italiane, soprattutto venete, che vedono nella Libia uno sbocco commerciale importante e una possibile base per tutto il Nord Africa, vista anche la stagnazione drammatica del nostro mercato interno.
Il presidente Arduino Paniccia, direttore accademico del centro studi strategici Niccolò Macchiavelli e docente di studi strategici all’Università di Trieste, ha già compiuto un viaggio in Libia (supportato sia dall’ambasciata che dalla sede locale dell’Ice) e preso contatti a nome della Task Force con il Consiglio di transizione.
Sul tappeto ci sono progetti importanti, come la nascita di uncollegamento marittimo fisso fra Venezia e Bengasi, un collegamento aereo fra Venezia e Tripoli, la costruzione di un impianto industriale per la produzione di semirimorchi nella zona di Misurata. «Le imprese italiane» dice Paniccia «hanno ancora un’ottima immagine presso l’opinione pubblica del paese. I libici ci considerano amici e al tempo stesso sanno che siamo in grado di assicurare standard di qualità superiori rispetto ad altri paesi».
Il discorso vale in particolare per i massicci lavori edilizi che dovrebbero cominciare appena superata l’attuale fase di incertezza politica. Si parla di grandi strutture ospedaliere e anche di programmi per la costruzione di case popolari, per cui le aziende italiane, vista la vicinanza fisica e i rapporti coltivati negli ultimi decenni, potrebbero svolgere un ruolo di primo piano.
Tutto questo potrà succedere però solo dopo le elezioni. Per questo tante imprese aspettano con le dita incrociate, sperando che si tengano davvero il mese prossimo e riescano a portare quella stabilità che è la prima condizione per lo sviluppo del paese.
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