sabato 14 maggio 2011

In Libia c’è aria di intervento via terra

La battaglia di Misurata ha spianato la strada alla missione umanitaria Ue. Che però sarà scortata dai militari

Nonostante la Nato lo neghi decisamente, Muammar Gheddafi continua ad essere nel mirino dei raids aerei, sempre più intensi, sul centro di Tripoli. Ieri mattina l’ultimo bombardamento massiccio contro la residenza-fortezza del Colonnello che, secondo il regime, ha provocato tre morti e 27 feriti, tutti civili. Il complesso di Bab al-Aziziya è stato colpito da quattro missili, secondo quanto riferito dalla Cnn ma la tv di stato ha riferito che i bombardamenti hanno danneggiato anche l’ambasciata della Corea del nord. Notizia smentita dall’Alleanza Atlantica ma i dubbi restano, soprattutto dopo che due settimane or sono il sito Debka (vicino all’intelligence israeliana) aveva segnalato che il regime libico poteva contare su sofisticati apparati radar installati in un’ambasciata straniera a Tripoli in grado di avvistare con un buon preavviso i jet della Nato.

Nonostante le immagini del raìs mostrate dalla tv di stato libica resta il mistero sulla sua sorte considerato che non si mostra in pubblico dal 30 aprile. L’eliminazione fisica di Gheddafi resta l’unica opzione per risolvere in conflitto in tempi rapidi, anche se il regime incomincia davvero a scricchiolare, come dimostra anche il passaggio coi rivoluzionari di Mohammed Sayyed Qathaf Aldam, cugino di Gheddafi. Ma c’è anche l’alternativa di un intervento terrestre alleato, sempre più probabile, che avverrebbe ufficialmente sotto forma di intervento umanitario.

Un’operazione da tempo in fase di pianificazione proprio a Roma, come riferiscono fonti ben informate in relazione alla missione europea Eufor Libia, varata dal Consiglio d’Europa a inizio aprile e messa a punto nel massimo riserbo sotto la guida dell’ammiraglio Claudio Gaudiosi, numero due del Comandi di vertice interforze, la struttura che coordina le operazioni italiane all’estero. L’obiettivo di Eufor-Libia è il “sostegno all’assistenza umanitaria nella regione” in appoggio alle organizzazioni internazionali. Un’esigenza particolarmente sentita a Misurata, la città che dopo un lungo assedio delle truppe di Gheddafi è stata conquistata nelle ultime due settimane dai ribelli grazie ai pesanti bombardamenti effettuati dai jet alleati.

Nell’ultima settimana solo i francesi hanno annunciato di aver distrutto 15 mezzi e due centri di comando e controllo ma a Misurata avrebbero svolto un ruolo di rilievo anche gli attacchi dei nostri Tornado e Harrier, almeno secondo indiscrezioni filtrate nonostante la censura posta dal ministro Ignazio La Russa sui raids aerei italiani. I bombardamenti hanno respinto le truppe governative a 15 chilometri dal porto, condizione ideale per far sbarcare la missione umanitaria europea che non dovrebbe vedere la presenza di truppe italiane in base ai recenti accordi tra il governo e la Lega Nord. Dei piani alleati sono consapevoli anche le forze libiche che non a caso hanno minato nei giorni scorsi l’accesso al porto. Un’operazione difensiva effettuata con pochi ordigni neutralizzati da un cacciamine britannico.

Inserire un’operazione umanitaria nel contesto di una guerra civile comporta non pochi rischi che potrebbero però costituire un valido pretesto per inviare truppe combattenti in Libia, ovviamente a garantire la sicurezza degli uomini di Eufor e a proteggere i civili. Non è forse casuale che Londra abbia in corso proprio in questi giorni le grandi manovre dei Royal Marines sulle spiagge di Cipro, isola che ospita diverse basi britanniche e 3.500 militari di Sua Maestà. I baschi verdi sono imbarcati su una flotta d’assalto composta da sette navi inclusa la portaelicotteri Ocean e la nave da sbarco Albion. A fine aprile la Difesa britannica dichiarò che non c’era «alcuna intenzione di usare questo contingente in Libia» aggiungendo però che «rientra nell’ambito delle capacità di questa unità l’impiego in operazioni umanitarie e di evacuazione di civili». Il presidente del Consiglio Nazionale transitorio, Mustafa Abdul Jalil, avrà probabilmente parlato anche di questo nell’incontro con David Cameron di ieri a Londra, nell’ambito del quale ha rinnovato la richiesta di forniture di armi.

GIANANDREA GAIANI, Libero - 13 maggio 2011
Ripreso da Zona di frontiera (Facebook) - zonadifrontiera.org (Sito Web)
14 maggio 2011

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