lunedì 16 maggio 2011

Sulla frontiera occidentale della Libia

L’auto corre a più di cento all’ora. E questo senza che l’autista tunisino abbia l’aria di far caso alla tempesta di sabbia che spazza la strada sin dal mattino. Eppure la visibilità non va oltre i cento metri. Il caldo è soffocante e il vento che viene dal Sahara avvolge l’aria in una spessa coltre di polvere. Il sole stesso sembra essersi smarrito e del suo abituale splendore non resta altro che un piccolo disco timidamente luminoso.
Centotrenta chilometri separano Tataouine dal posto di confine di Dehiba-Wazan sulla frontiera libica. Dopo Tataouine incrociamo un flusso incessante di veicoli libici.
Camion, pick-up e berline di fabbricazione giapponese e coreana sembrano edifici costruiti alla meglio con materassi, tappeti legati con lo spago e teloni per proteggere quello che i loro proprietari sono riusciti a portare con sé. Fuggono dai combattimenti e soprattutto dai bombardamenti che imperversano da dieci mesi nel gebel Nefussah, a ovest della Libia. I
ragazzi giovani e i padri di famiglia accompagnano i loro cari in Tunisia per poi ripartire quasi immediatamente e senza troppo attardarsi. Prendono spesso la via del ritorno per difendere gelosamente le loro città, i loro villaggi respingendo i ripetuti assalti dei soldati di Gheddafi.
Due settimane fa l’accerchiamento del gebel è stato interrotto dalla presa, o meglio dalla ripresa di Nalut prima, di Wazan poi e infine del posto di frontiera, ad opera degli insorti libici il 21 aprile. Obbligando quel giorno 89 soldati e 13 ufficiali pro-Gheddafi ad arrendersi alle autorità militari tunisine. Quel giorno furono uccisi una decina di militari libici e 25 feriti mentre tra i ribelli si conta un solo ferito.
Da quel giorno, gli insorti tengono bene, nonostante la ripresa della posizione – durata alcune ore – da parte delle milizie di Gheddafi giovedì scorso, il 28 aprile.
Gli scontri, quel giorno, sono addirittura proseguiti sul territorio tunisino, gettando nel panico il villaggio di Dehiba situato a tre chilometri dal posto di frontiera. Dei razzi sono stati lanciati sul villaggio tunisino provocando molti feriti, e sono stati scambiati molti colpi sia da una parte che dall’altra. Alla fine le milizie si sono dovute ritirare, respinte prima dalle pietre lanciate dai furiosi abitanti del villaggio tunisino, poi dagli insorti e infine dall’esercito tunisino. Quest’ultimo d’altro canto nell’occasione ha sequestrato una quindicina di pick-up e molte munizioni. I combattimenti sono durati molte ore e alcuni miliziani di Gheddafi, feriti, sono stati arrestati per poi essere portati all’ospedale di Tataouine. Il giorno seguente una folla di libici pro-insorti tentava un assalto ma l’esercito tunisino interveniva ancora una volta per evitare ogni forma di rappresaglia. Approfittando della confusione attorno al posto di frontiera di Dehiba-Wazan, gli insorti hanno finito per riprenderne il controllo senza mai più lasciarlo.
Nel pomeriggio di sabato, dei libici che vivono in Irlanda sono arrivati, prima via mare e poi via terra, al posto di frontiera portando otto furgoni pieni di materiale medico e due ambulanze, di cui una ha trainato l’altra per più di duecento chilometri. Il materiale appena scaricato dal lato tunisino è stato caricato nuovamente su altri camion e pick-up destinati a raggiungere il gebel. Dopo lo sforzo l’abbraccio è collettivo. Gioioso e affettuoso.
Alcuni medici tunisini attendono, dal gebel, l’arrivo incerto ma sempre probabile di feriti. Hanno sempre facce sorridenti ma i loro occhi coperti da occhiali da sole lasciano tuttavia intravedere un’evidente stanchezza. Sono arrivati da tutta la Tunisia per aiutare i loro fratelli libici. Aspettano fumandosi qualche sigaretta e conversando, approfittando di un momento di calma. Delle carovane organizzate dai comitati o consigli popolari sono arrivate da ogni parte del paese per portare ai libici tutto ciò che sono riusciti a raccogliere. Viveri, medicinali, giocattoli, coperte, pannolini, etc. Incrociamo persone di Gabès, Djerba, Tunisi e di altri luoghi.

Agli uffici della dogana c’è la ressa. La minuscola stanza sotto il mercato coperto è invasa da decine di uomini che tentano di accelerare le procedure di ingresso sul territorio tunisino. I doganieri cercano senza successo di mettere una specie di ordine a questa situazione. E mentre gli uomini agitano a mo’ di ventaglio i loro passaporti verdi con sopra un aquila, le donne e i bambini aspettano nelle macchine roventi e piene fino all’orlo.  Le macchine scorrono a decine, forse più di un centinaio. Una piccola barriera metallica sormontata da una bandiera degli insorti interrompe questa fila in due, fila percorsa senza sosta da volontari della mezzaluna rossa tunisina che distribuiscono acqua e dolciumi, assicurandosi che non vi
siano malati e che tutto proceda per il meglio. Dal lato libico, dietro un piccolo tavolo, gli insorti raccolgono le identità di tutti quelli che attraversano la frontiera, un modo come un altro per ammazzare il tempo. La maggior parte di loro sono seduti su delle sedie o per terra, preferibilmente all’ombra, le armi in mano o tra le gambe.

Sono circa una sessantina gli insorti che si sono distribuiti tra tutti gli edifici di frontiera crivellati dai colpi. Il simbolo amazigh è dipinto un po’ dappertutto sui muri poiché occorre sapere che questa frontiera taglia un territorio densamente popolato da berberi. Berberi libici a cui Gheddafi non ha mai riconosciuto lo status di tribù, così che il gebel Nefussah è sempre stato chiamato gebel Al-Gharbi.

Al posto di frontiera, alla vista del solo pick-up armato di min ta, ci si domanda come abbiano fatto gli insorti a tenere testa alle truppe di Gheddafi. La maggior parte dei veicoli da combattimento degli insorti sono ripartiti per Nalut. Ma dai racconti fatti dai combattenti, la loro determinazione sembra più forte di quella dei miliziani. Ed è difficile dubitarne. Le discussioni abbondano un po’ dovunque e qui si viene ad assicurarsi delle ultime notizie sputate dai telefoni satellitari. A Nalut, a più di cinquanta chilometri si continua a combattere. Da un piccolo promontorio si può osservare la sola strada asfaltata perdersi lontano e scomparire dopo Wazan nel gebel che rivela così i suoi pendii ripidi e totalmente spogli.
Questo posto di frontiera è una chiave strategica sul fronte occidentale e anche se Zuara e Zawiya, sulla costa della Tripolitana, sono cadute da lungo tempo, impietosamente represse dal potere, il gebel si batte ancora. Separato dal fronte orientale, può contare solo sulla Tunisia per gli approvvigionamenti. Prima di conquistare questo posto di frontiera, c’era solo il deserto per far passare dei prodotti di prima necessità e per fuggire, ma solo di notte e a fari spenti. Oggi, controllare questo posto di frontiera significa controllare una delle poche strade asfaltate che collegano la Tunisia alla Libia. Quella del nord è in mano ai miliziani e la
bandiera verde aleggia sempre su Ras Jdir.
I militari libici sembrano essere scomparsi dopo che alcuni di loro hanno deciso di disertare. Queste defezioni malgrado tutto continuano, ma attraverso il mare. Già il 15 aprile, otto ufficiali libici dello Stato Maggiore tra cui qualche generale erano arrivati in barca al porto di
El-Keft, vicino a Ben Gardene. Il 5 maggio altri sei ufficiali hanno raggiunto lo stesso porto.
Nel frattempo a Ras Jdir i feriti nei combattimenti di Zaoura e Zawiya attraversavano il deserto per non firmare la loro condanna a morte. A Dehiba, vengono accolti senza problemi come ogni malato. Si scambiano numeri di telefono per aiutare coloro che vogliono rifugiarsi in Tunisia.
Si vedono anche camion e altri pick-up ripartire verso il gebel stracolmi di tutto tranne ciò che non si è riusciti a far passare. Le armi e il materiale sensibile come la benzina passeranno altrove, vale a dire ovunque tranne che qui. Le forze di sicurezza tunisine tuttavia ispezionano ogni veicolo con unità cinofile. Poco importa, il contrabbando ha in questa regione una lunga e antica tradizione e come spesso accade in questo genere di circostanze storiche, i contrabbandieri sono per la maggior parte dal lato degli insorti.
Domenica primo maggio, le truppe di Gheddafi hanno lanciato un’offensiva per tentare di impadronirsi di nuovo del posto di frontiera. Circondando Nalut dal nord e usando una pista che attraversa il villaggio di Takuk sulle montagne e che costeggia la frontiera. Pensavano così di sorprendere gli insorti che invece li aspettavano e gli hanno bloccato la strada facendo saltare parte della montagna. Come per vendicarsi di questa abile manovra, le milizie di Gheddafi hanno tirato a caso decine di razzi sulla montagna. Quattro di queste si sono abbattute sul villaggio di Dehiba in Tunisia senza però fare vittime o danni. Gli insorti del gebel hanno replicato durante tutto il pomeriggio. La strada in direzione della Libia è stata bloccata dai militari tunisini che in seguito ne hanno approfittato per costruire delle casematte più grosse vicino a Dehiba.
Giovedì 5 maggio, di mattina, le milizie di Gheddafi sono tornate ancora alla carica ma questa volta dal sud di Wazan. Una quindicina di pick-up, di lanciamissili e qualche blindato per il trasporto truppe hanno dato l’assalto, ma sono stati bloccati dagli insorti a 17 chilometri di distanza. Quattordici granate da mortaio sono tuttavia cadute sul lato tunisino vicino le località di Martaba e Afina mentre si combatteva anche a Ghelaya tra
Wazan e Nalut.
Lo stesso giorno, sfidando il rischio di trovarsi sotto il fuoco dei combattimenti, una carovana di dieci veicoli proveniente da Ben Arous, Sfax, Gabès, Médenine e Tataouine è arrivata a Dehiba, portando ancora medicine e prodotti alimentari. Un altro convoglio di tre camion è arrivato più tardi da La Marsa.
Nonostante si parli di una vasta offensiva di Gheddafi sul gebel, occorre tenere in considerazione che all’ovest il fronte è solidamente in mano agli insorti. Non si indeboliscono e non sono affatto vicini alla ritirata. E anche se il gebel Nefussah dovesse ritrovarsi di nuovo accerchiato, come lo è già stato, non per questo gli insorti si rassegneranno. A sud di Tripoli ci si organizza da una parte all’altra della frontiera. Il combattimento continua e questo combattimento non avrà fine che con nient’altro che la caduta del regime.
Fonte: setrouver.wordpress.com

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