Sessanta chilometri dividono l’isola di Djerba dal confine con la Libia, Ras Jedir.
Oggi è una bellissima giornata di sole, ci sono 27 gradi, la gente è in spiaggia. Belgi, tedeschi, francesi si godono questa splendida primavera. Gli italiani non ancora.
In città la gente passeggia tranquilla, visita il mercato, compera souvenir. Il Ministero del Turismo si attiva per promuovere la destinazione della Tunisia su altri canali, i paesi arabi per esempio, cercando in ogni modo di riattivare tutti i settori della sua economia. La Tunisia è un paese che vuole emergere nonostante l’Europa continui a “giocare” la carta dell’immigrazione clandestina come merce di scambio con “turisti”, questo paese volta pagina, accetta le critiche ed allo stesso tempo guarda verso nuovi orizzonti.
Sessanta chilometri è la distanza che divide questo angolo di paradiso dalla guerra, Gheddafi, i rifugiati. A Houmt Souk sono riapparse le macchine con targhe libiche. Si distinguono subito. La curiosità ci porta ad osservare le facce di questa gente che scappa dalla guerra. Sono famiglie con bambini, diplomatici, stranieri che vivevano là.
Ogni giorno passano da Ras Jedire circa 1.800 libici che non si fermano nei campi allestiti alla frontiera ma continuano il loro viaggio verso l’interno del paese. Contrariamente a quanto si può pensare hanno tutti hanno un’aria rassegnata, ma composta, curata e tranquilla.
I bambini sono bellissimi, sorridenti come se per loro fosse solo un periodo di vacanza.
La gente li accoglie, come ha accolto migliaia di altri rifugiati che sono transitati per quest’isola per essere rimpatriati dall’aeroporto di Djerba.
Chi ha un lontano parente, chi affitta un piccolo appartamento, chi un amico, chi nessuno ed incontra ancora la solidarietà del popolo tunisino. Una volta i libici venivano a Djerba per farsi curare, le strutture sanitarie nel loro paese sono scarse e non molto aggiornate. Soprattutto le donne raccontavano che in Libia i medici non le visitano, si limitano a scambiare due parole con loro e le liquidano con un semplice “spero che Dio l’aiuti”.
Oggi i libici sono tornati e non si sa per quanto tempo si fermeranno. Questa volta non passano la giornata e riprendono la strada. Il Ministero per gli Affari Sociali si è già attivato ed ha predisposto un piano di sostegno ed integrazione che prevede, nel caso di prolungamento del conflitto anche l’inserimento scolastico per i bambini.
A Djerba la vita continua normalmente, in tutta tranquillità; nei parcheggi a fianco alle targhe nere della Tunisia compaiono sempre di più le targhe bianche della Libia. I bambini di Tripoli mangiano il gelato con i bambini di Houmt Souk.
Oggi è una bellissima giornata di sole, ci sono 27 gradi, la gente è in spiaggia. Belgi, tedeschi, francesi si godono questa splendida primavera. Gli italiani non ancora.
In città la gente passeggia tranquilla, visita il mercato, compera souvenir. Il Ministero del Turismo si attiva per promuovere la destinazione della Tunisia su altri canali, i paesi arabi per esempio, cercando in ogni modo di riattivare tutti i settori della sua economia. La Tunisia è un paese che vuole emergere nonostante l’Europa continui a “giocare” la carta dell’immigrazione clandestina come merce di scambio con “turisti”, questo paese volta pagina, accetta le critiche ed allo stesso tempo guarda verso nuovi orizzonti.
Sessanta chilometri è la distanza che divide questo angolo di paradiso dalla guerra, Gheddafi, i rifugiati. A Houmt Souk sono riapparse le macchine con targhe libiche. Si distinguono subito. La curiosità ci porta ad osservare le facce di questa gente che scappa dalla guerra. Sono famiglie con bambini, diplomatici, stranieri che vivevano là.
Ogni giorno passano da Ras Jedire circa 1.800 libici che non si fermano nei campi allestiti alla frontiera ma continuano il loro viaggio verso l’interno del paese. Contrariamente a quanto si può pensare hanno tutti hanno un’aria rassegnata, ma composta, curata e tranquilla.
I bambini sono bellissimi, sorridenti come se per loro fosse solo un periodo di vacanza.
La gente li accoglie, come ha accolto migliaia di altri rifugiati che sono transitati per quest’isola per essere rimpatriati dall’aeroporto di Djerba.
Chi ha un lontano parente, chi affitta un piccolo appartamento, chi un amico, chi nessuno ed incontra ancora la solidarietà del popolo tunisino. Una volta i libici venivano a Djerba per farsi curare, le strutture sanitarie nel loro paese sono scarse e non molto aggiornate. Soprattutto le donne raccontavano che in Libia i medici non le visitano, si limitano a scambiare due parole con loro e le liquidano con un semplice “spero che Dio l’aiuti”.
Oggi i libici sono tornati e non si sa per quanto tempo si fermeranno. Questa volta non passano la giornata e riprendono la strada. Il Ministero per gli Affari Sociali si è già attivato ed ha predisposto un piano di sostegno ed integrazione che prevede, nel caso di prolungamento del conflitto anche l’inserimento scolastico per i bambini.
A Djerba la vita continua normalmente, in tutta tranquillità; nei parcheggi a fianco alle targhe nere della Tunisia compaiono sempre di più le targhe bianche della Libia. I bambini di Tripoli mangiano il gelato con i bambini di Houmt Souk.
Nessun commento:
Posta un commento