domenica 18 settembre 2011

Guerra in Libia: giochiamo a Risiko



Il 16 settembre il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha approvato una risoluzione che diminuisce le sanzioni contro Tripoli, riduce l'embargo d'armi alla Libia, appoggia formalmente il Consiglio nazionale di transizione (Cnt). Viene in oltre creata una missione di assistenza chiamata UNSMIL, Unitedted Nations Support Mission in Libya, la quale avrà un mandato iniziale di tre mesi. L'Unsmil si concentrerà su: sicurezza e ordine pubblico, costituzione ed elezioni, rafforzamento delle istituzioni statali, protezione dei diritti umani, rilancio economico, coordinamento con altre organizzazioni. http://www.un.org/News/fr-press/docs/2011/AG11137.doc.htm

L’ONU ha deciso di chiudere la guerra in Libia, come fosse un gioco a tavolino. Allo stesso modo era iniziata il 19 marzo quando i primi aerei avevano bombardato le basi militari di Gheddafi. Credo che in questa guerra abbiamo visto tutte le ingiustize possibili. Qualsiasi tipo di certezza o punto di riferimento è stato sconvolto e stravolto. Quando i primi rifugiati arrivavano nei campi di Ramada e Dhiba era nostra curiosità capire le ragioni di questo sollevamento popolare, per quale motivo i libici si erano rivoltati contro il loro leader Gheddafi dopo 42 anni di potere. La risposta si commenta da sola: “Non lo sappiamo”. E’ iniziata cosi’ sulla scia delle Primavere Arabe anche la guerra civile in Libia. Le cose sono andate diversamente rispetto ai paesi limitrofi, anche se in tutto il Nord Africa regna una situazione molto instabile. Gheddafi aveva sin dal primo momento apoggiato la posizione di Ben Ali, era stato il solo a consigliargli di reprimere con la forza la sommossa. Quasi per sfida i libici sono scesi in piazza, richiamati all’ordine dal Rais. Da quelle primissime giornate è iniziata una guerriglia sul campo e una guerra mediatica dove vittima è stata da subito l’informazione. Si accusa da subito il leader libico di aver commesso stragi sui civili sparando sulla folla a Misurata. Molte parole, poche immagini. 
15 gennaio 2011 era stato appena pubblicato un rapporto dell’ONU che loda gli sforzi della Jamahiriya per il rispetto dei diritti umani, diritti politici, economici, sociali e culturali. http://www2.ohchr.org/english/bodies/hrcouncil/docs/16session/A-HRC-16-15.pdf

La guerra della disinformazione e delle menzogne. La guerra del petrolio e degli interessi economici. La guerra delle potenze occidentali che hanno scelto come bersaglio un leader scomodo che aveva ostao nella sua follia alzare la testa e pensare di rendere il continente africano un’unità economica e monetaria, gli Stati Uniti d’Africa. Progetto troppo ambizioso che avrebbe avuto anche un probabile successo vista la dilagante crisi economica mondiale. La guerra continua e non ci sono vincitori, solo vittime. Viene creata una presunta vittima del conflitto il Consiglio Nazionale di Transizione, un'entità che dovrebbe riunire tutti gli oppositori di Gheddafi, una forza di per se inventata che cresce e combatte con il supporto della NATO, sarebbe piu' corretto dire la NATO combatte e prepara il terreno ai festeggiamenti dei ribelli. 
Mentre sul terreno infuriano i combattimenti, nei salotti di tutto il mondo si firmano contratti migliardari, si stravolgono alleanze. Sarkozy insieme a Cameron vola a Tripoli e Bengazi per ribadire la vittoria della Francia e la liberazione del paese. La guerra è finita, i colonizzatori hanno messo la loro bandierina nella capitale. Ma nel deserto si combatte ancora, Gheddafi non molla e come un abile stratega continua a tirare le fila di questa guerra civile. Lui è il solo che sa combattere, con le armi, con soldati a lui fedeli, con azioni militari studiate e ponderate. Il CNT è uno specchietto per le allodole, un’entità creata ad hoc, sostenuta dalla follia della NATO senza la quale non sarebbe sopravvissuto. Dal 16 settembre il CNT ha preso il suo posto anche all’ONU, viene modificata la risoluzione e ci si prepara ad entrare in Libia da terra con la bandiera della pace a ristabilire un’equilibrio che è stato frantumato e che nessuno potrà mai ricreare. 
I fragili equilibri che reggevano in questo paese sono andati in fumo, nessun gioco politico straniero riuscirà mai a mettere pace in questa terra. Tripoli non è Parigi o Londra. Sehba non è un paesino della campagna francese. 
La frontiera con la Tunisia registra moltissimi passaggi in entrata, i controlli sono intensissimi e la gente aspetta per diverse ore prima di poter entrare. Molte sono le armi che vengono sequestrate. Non tutti usano vie legali, i confini sono molto spesso lunghi tratti di deserto attraverso i quali puo’ passare di tutto. Proprio sulla circolazioni di armi verteva l’incontro avuto a Bengazi tra il Ministro degli Esteri tunisino e il suo omologo libico: si richiedeva l’intensificazione dei controlli lungo le zone di confine per impedire la fuoriuscita dal paese di armi. Il popolo libico è armato, non sono militari. 
E mentre in Italia ci si è stufati di questa guerra che, per nostra fortuna, si combatte in quel paese desertico che sta oltre il mare, in Libia si continua a morire. Di Gheddafi non interessa piu’ niente a nessuno, quando arriverà la vera notizia della sua morte tireremo un sospiro di sollievo e nel trattempo il Ministro Tremonti avrà già trovato una nuova tassa per finanziare la missione militare, o di pace, o qualsiasi cosa possa essere, alla quale non potremmo rinunciare per non essere da meno di Francia o Inghilterra. 
Ma quando Sarkozy entra acclamato da eroe a Tripoli, Berlusconi dov’era? 
Il Nord Africa non ha piu’ confini, a Djerba sembra di essere a Tripoli. I feriti continuano ad arrivare, l’isola è piena di targhe bianche sulle quali è stata incollata la bandiera dei ribelli, del resto sarebbe da pazzi in questa situazione sbandierare altre idee politiche. Il 17 settembre è iniziata la scuola anche, nelle classi dal muro è stata tolta la foto di Gheddafi, le canzoncine in suo onore che gli alunni recitavano sono state cambiate in poesie contro il Rais e a favore del valore dei ribelli. In sostanza non è cambiato nulla, solo il numero degli abitanti si è ridotto. Non sappiamo di quanto, anche su questo argomento la propaganda di ciascuna parte propone la sua versione. Un’interessante articolo del New York Times cerca di fare chiarezza dicendo che molto spesso le migliaia di morti si riducono a centinaia http://jerbanews.blogspot.com/2011/09/libya-counts-more-martyrs-than-bodies.html
Domani mattina devo incontrare Havla, una mamma libica, che si trova a Djerba. E’ arrivata qualche giorno fa da Ramada, suo figlio ha bisogno di cure mediche, ha una pallottola nel cranio, non sarà mai piu’ un bambino normale. E’ qui con sua sorella, non hanno mezzi di sostentamento, solo la solidarietà della gente. Con loro ci sono altri 5 bambini, la guerra ha ucciso il loro papà. La bambina piu’ grande ha 8 anni, domani le compreo’ i libri per andare a scuola. Dovrebbe andare in terza elementare ma ripete la seconda. Mia figlia le ha preparato una sua vecchia cartella e dei vestiti, per gli altri abbiamo fatto la stessa cosa. Questa è una briciola della disperazione che questa aggressione dell’occidente ha causato nella Libia, a loro non interessa del petrolio, dell’economia mondiale o dei contratti milionari che gli avvoltoi di tutto il mondo cercano di portare a casa, loro non hanno piu’ una casa nè una vita normale.

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