Per Rosa Crestani, coordinatrice di Msf per l’emergenza in Libia, il sistema sanitario è stato ridotto al collasso dalla guerra e dall’embargo. A Tripoli personale medico locale costretto in questi mesi ad abbandonare i malati per dedicarsi ai feriti di guerra. Il difficile ritorno alla normalità. La solidarietà del popolo libico e la qualità dei medici locali.
Bruxelles (AsiaNews) – “L’embargo Onu sui medicinali è illegale, assurdo e intollerabile. Chi ne patisce sono i civili, i feriti, i pazienti di entrambi gli schieramenti”. È quanto afferma ad AsiaNews Rosa Crestani Coordinatrice a Bruxelles per le emergenze di Medici senza frontiere (Msf). Msf è l’unica organizzazione insieme alla Croce rossa autorizzata ad operare in Libia.
La donna spiega che il blocco imposto dalle sanzioni Onu ha bloccato per sei mesi l’acquisto di medicinali, creando problemi soprattutto a Tripoli, dove la situazione si è sbloccata solo in questi giorni. “Quando gli embarghi non tengono conto delle necessità sanitarie – sottolinea - si creano sempre situazioni drammatiche, che rendono ancora più difficile il nostro lavoro”.
Msf ha inviato il suo personale in Libia già a febbraio, poco dopo l’inizio dell’operazione Nato, aprendo centri per la cura dei feriti e il sostegno psicologico, prima a Bengasi e nei mesi successivi a Zlitan, Misurata e in altre zone di guerra. “A Misurata – racconta la Crestani - facciamo ancora operazioni chirurgiche di urgenza e diamo assistenza psicologica alla popolazione. Stiamo anche lavorando in tre carceri con 600 prigionieri, fra cui vi sono molti feriti gravi”.
La coordinatrice di Msf sottolinea che i problemi maggiori si sono riscontrati nella capitale, dove l’organizzazione è giunta solo ai primi di agosto. A Tripoli risiede circa un terzo della popolazione libica. A causa dell’embargo gli ospedali hanno dato fondo alle scorte, restando senza medicinali proprio durante l’ultima offensiva lanciata da Nato e ribelli.
“Eravamo in attesa di completare i documenti con il ministro della Salute – spiega la donna - e ci mancava il nulla osta per fare entrare il personale dalla Tunisia, quando è scoppiata la guerra di Tripoli. Per le prima settimana non siamo riusciti a inviare operatori, lasciando lì il nostro coordinatore. Un’equipe di 13 persone è giunta solo intorno al 25 di agosto”.
La Crestani dice che nella capitale il sistema sanitario è al collasso, anche se ancora operativo. “Per la carenza di medicinali – racconta - i medici libici sono costretti a curare solo le urgenze (codici rossi), bloccando i casi considerati di routine”. “Nonostante i problemi – sottolinea - il personale ospedaliero ha reagito molto bene e siamo rimasti colpiti dalla grande solidarietà del popolo libico e dalla preparazione dei suoi medici”.
Ora che la situazione sta tornando alla normalità, tuttavia mancano ancora i medicinali necessari per le terapie. “Noi purtroppo siamo un’organizzazione di urgenza e quindi siamo concentrati sui casi più critici e non possiamo aiutare coloro che seguono cure particolari come le chemioterapie, aids, diabete e malattie croniche. Per questi casi i medicinali non sono ancora accessibili”. (S.C.)
La donna spiega che il blocco imposto dalle sanzioni Onu ha bloccato per sei mesi l’acquisto di medicinali, creando problemi soprattutto a Tripoli, dove la situazione si è sbloccata solo in questi giorni. “Quando gli embarghi non tengono conto delle necessità sanitarie – sottolinea - si creano sempre situazioni drammatiche, che rendono ancora più difficile il nostro lavoro”.
Msf ha inviato il suo personale in Libia già a febbraio, poco dopo l’inizio dell’operazione Nato, aprendo centri per la cura dei feriti e il sostegno psicologico, prima a Bengasi e nei mesi successivi a Zlitan, Misurata e in altre zone di guerra. “A Misurata – racconta la Crestani - facciamo ancora operazioni chirurgiche di urgenza e diamo assistenza psicologica alla popolazione. Stiamo anche lavorando in tre carceri con 600 prigionieri, fra cui vi sono molti feriti gravi”.
La coordinatrice di Msf sottolinea che i problemi maggiori si sono riscontrati nella capitale, dove l’organizzazione è giunta solo ai primi di agosto. A Tripoli risiede circa un terzo della popolazione libica. A causa dell’embargo gli ospedali hanno dato fondo alle scorte, restando senza medicinali proprio durante l’ultima offensiva lanciata da Nato e ribelli.
“Eravamo in attesa di completare i documenti con il ministro della Salute – spiega la donna - e ci mancava il nulla osta per fare entrare il personale dalla Tunisia, quando è scoppiata la guerra di Tripoli. Per le prima settimana non siamo riusciti a inviare operatori, lasciando lì il nostro coordinatore. Un’equipe di 13 persone è giunta solo intorno al 25 di agosto”.
La Crestani dice che nella capitale il sistema sanitario è al collasso, anche se ancora operativo. “Per la carenza di medicinali – racconta - i medici libici sono costretti a curare solo le urgenze (codici rossi), bloccando i casi considerati di routine”. “Nonostante i problemi – sottolinea - il personale ospedaliero ha reagito molto bene e siamo rimasti colpiti dalla grande solidarietà del popolo libico e dalla preparazione dei suoi medici”.
Ora che la situazione sta tornando alla normalità, tuttavia mancano ancora i medicinali necessari per le terapie. “Noi purtroppo siamo un’organizzazione di urgenza e quindi siamo concentrati sui casi più critici e non possiamo aiutare coloro che seguono cure particolari come le chemioterapie, aids, diabete e malattie croniche. Per questi casi i medicinali non sono ancora accessibili”. (S.C.)
Nessun commento:
Posta un commento